Francesca ha dovuto lottare per poter mangiare a mensa con i suoi compagni. All’inizio tornava sempre a casa a mangiare con i genitori, oppure con la nonna quando la mamma era al lavoro. Era una fatica per i genitori, e un dispiacere per lei.
La scuola però all’inizio delle elementari non era organizzata per accoglierla. Francesca soffre di disfagia, una delle conseguenze della Sma, malattia degenerativa con cui è nata. La disfagia è un disturbo che comporta un certo grado di difficoltà nella deglutizione, per cui è richiesto qualche accorgimento più quando si mangia. Alcuni alimenti sono da evitare, per esempio, e serve una attenzione maggiore nel valutare la consistenza dei cibi o la grandezza dei bocconi. Inoltre la debolezza muscolare di Francesca, dovuta alla sua patologia, non le permette di gestire in totale autonomia le posate o il bicchiere.
Tutto sommato, nulla di particolarmente complicato; è solo una questione di conoscenze e organizzazione.
In effetti dopo un paio di anni di richieste e trattative, finalmente la famiglia di Francesca riesce a ottenere un piano scolastico che preveda anche la mensa. Sia l’educatrice che l’insegnante di sostengo sono preparate a rispondere alle difficoltà di Francesca, così da poterla aiutare se ha bisogno.
Solo se ha bisogno di aiuto, però. Perché Francesca è autonoma in tante cose, e quelle le vuole fare da sola. Come, per esempio, usare il tovagliolo.
Un giorno, a metà del pasto, l’educatrice prende il tovagliolo e istintivamente le pulisce la bocca, come con i bambini piccoli. Francesca si risente, dopotutto lei è già in terza elementare: “Faccio io” afferma convinta, cercando di prendere il tovagliolo in mano. Ma l’educatrice insiste “Lascia stare, tu da sola non sei capace”.
Francesca resta male. Quelle parole, di fronte ai suoi compagni, la mettono in difficoltà. Pensa di lasciar perdere, poi invece decide di reagire. Prende il tovagliolo decisa: “Grazie – dice – ma riesco a farlo da sola”. E torna a chiacchierare con i suoi compagni.
La mensa è considerata a tutti gli effetti parte integrante del tempo scuola. Se un alunno deve uscire per l’ora di pranzo, i genitori sono chiamati a presentarsi personalmente per prendere il bambino e firmare l’apposito modulo; la stessa trafila necessaria quando ci si assenta durante l’orario di lezione.
Nella maggior parte delle scuole la frequenza della mensa non è considerata opzionale; è solo in presenza di necessità, concordate fra la famiglia e l’istituzione scolastica, che viene concesso l’allontanamento per il pranzo in modo continuativo.
Non è quindi accettabile che sia la scuola a suggerire di portare l’alunno fuori da scuola all’orario di pranzo, nemmeno per motivi inerenti lo stato di salute.
E’ il medico che ha il dovere di dichiarare l’idoneità dell’alunno disabile di frequentare le 40 ore, compreso il momento dellaa mensa; se ciò è avvenuto, non ci sono altre figure che possano formulare altre ipotesi.
La risposta legislativa la troviamo nel vigente CCNL comparto scuola, il cui articolo 47 definisce i compiti del personale ATA tra i quali:” i compiti legati all’assistenza alla persona, all’assistenza agli alunni diversamente abili.. come l’assistenza necessaria durante il pasto nelle mense scolastiche..”