Alvaro Costa ha 3 anni e sta partendo per l’estero. Da Porto, capitale del Portogallo, si trasferisce in Germania. Ma non è una vacanza; ha bisogno di cure particolari. Alvaro è nato con gravi malformazioni: senza braccia, una lussazione all’anca destra, una malformazione alla gamba sinistra. E’ uno dei tanti bambini vittime del talidomide, un farmaco prescritto alle donne in gravidanza contro la nausea.
E’ il 1963. Alvaro arriva al centro di riabilitazione dell’Università di Heidelberg. Suo padre non poteva allontanarsi da Porto, così lo accompagnano sua mamma e sua zia. Lo accompagnano, poi ripartono verso casa. Alvaro resta solo, in un Paese straniero, con persone sconosciute. Tornano a prenderlo dopo un anno. Alvaro non la prendo molto bene. E’ stata dura; e lui è solo un bambino.
Torna a casa, ma le valigie sono sempre pronte. Alvaro viaggia spesso per la sua salute. Va avanti e indietro dall’Inghilterra, per perfezionare le protesi. Quando è a casa, però, arrivare semplicemente a scuola rappresenta un ostacolo insormontabile. I misteri della mobilità.
Il problema è che nell’edificio ci sono gradini, sia all’ingresso che nelle uscite. Così Alvaro per i primi anni resta a casa, con un insegnante privato. Quando arriva in quinta, però, i suoi genitori decidono che è ora che vada in classe anche lui. Presentano l’iscrizione, ma la risposta è poco incoraggiante: “Disturberà la classe” ,temono gli insegnanti. E’ necessario chiedere a tre scuole diverse, prima che Alvaro riesca a entrare in un’aula. Quando è là, però, resta al suo banco mentre gli altri fanno ricreazione. Si fa compagnia con un libro.
Il tempo passa e Alvaro continua a studiare. Frequenta le superiori, poi l’università. Qui si sente davvero accolto dai suoi coetanei. Fa la vita che fanno tutti: esce con i compagni, rientra a tarda notte, partecipa a congressi, va in vacanza con gli amici. Fa parte dell’Unione degli studenti ed è membro di un’associazione portoghese di persone con disabilità.
Un giorno un docente gli fa una proposta: perché non considerare di partecipare al progetto Erasmus? Significa partire, volare all’estero, vivere per un periodo in Scozia senza aver vicino amici e parenti. Alvaro all’inizio si sente insicuro; è uno studente con bisogni speciali, non ha mai viaggiato da solo. Ma è un’opportunità da non farsi sfuggire.
Dall’università di Glasgow ottiene tutto l’aiuto necessario, l’accoglienza è incoraggiante. Alvaro alla fine decide e parte. E’ il 1991: Alvaro diventa il primo studente disabile a partecipare al progetto Erasmus. Di nuovo, come quando era bambino, si ritrova all’estero senza la famiglia. Ma ora è un adulto; vive da solo, fa i conti con limiti fisici e momenti di ansia, ma impara che ci sono sempre soluzioni per superare le prove quotidiane. Compreso quando deve guidare la carrozzina fino all’università affrontando mezzo metro di neve; una situazione praticamente sconosciuta per un portoghese.
Dopo la laurea, Alvaro trova lavoro all’Ufficio Relazioni Internazionali della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Porto. Ha l’opportunità di parlare con diversi studenti con disabilità, incoraggiandoli a considerare di fare un periodo di Erasmus per avventurarsi per il mondo.
Descrizione immagine: Alvaro ai tempi dell’università. Alvaro è all’aperto, seduto sulla sedia a rotelle. Ha i capelli corti e gli occhiali. Indossa un maglione a girocollo grigio, jeans e scarpe blu.