L’inclusione ha un limite?

Chi mi segue sa che considero l’apertura alla partecipazione di TUTTI gli alunni alle gite è uno degli elementi fondanti dell’inclusione scolastica. La scuola ha il dovere di mettere in campo ogni risorsa per permettere agli alunni con disabilità di partecipare a ogni evento tenendo conto delle loro esigenze. Questo però non vuol dire eliminare ogni occasione che non risponda pienamente alle richieste di ogni singolo.

La riflessione nasce da una discussione sui social, inerente la difficoltà per un alunno con disabilità di partecipare a una uscita che interessava la scuola – non sola la classe – dovuta a problematicità legate alla sua condizione che rendevano molto difficile trovare soluzioni.

Più di una persona, genitore o insegnante che fosse, ha tacciato la proposta come “non inclusiva” per quella classe perché non aveva tenuto conto del singolo. Già questo è assurdo: un evento è inclusivo o no in assoluto, non in base al gruppo che vi deve partecipare. Un edificio senza rampe è inaccessibile sempre, non solo quando arriva qualcuno in sedia a rotelle.

Viste le difficoltà però è stato ipotizzato che l’intera classe rinunciasse all’evento, rifacendosi alla frase O TUTTO O NESSUNO.

Lo dico qui ufficialmente: DETESTO quella frase. Non è mai equa né positiva. Se in una famiglia con 3 figli, di cui uno disabile, i genitori decidessero che “nessuno” fa sport vi sembrerebbe equo?

Quando si proibisce qualcosa “per non escludere”, in realtà si moltiplica l’ingiustizia, non le opportunità.

Nel breve periodo è un gesto di solidarietà, perché si è esclusi “insieme” – ma è una reazione emotiva e non si aggiunge reale valore.

L’inclusione è un concetto universale

Perché l’inclusione è un concetto universale che deve portare tutti i membri di una comunità a poter accedere alle stesse opportunità ed esperienze, non limitare le occasioni perché nessuno “ci resti male”.

Facciamo un esempio. In una scuola c’è un laboratorio di cinema e in una classe c’è Mario, uno studente cieco. E’ evidente che lui non può vivere appieno tale esperienza, ma eliminare il laboratorio sarebbe assurdo. Oltre che discriminatorio.

Sì lo ripeto: eliminare il laboratorio sarebbe una discriminazione, perché vorrebbe dire tenere una persona fuori da un aspetto importante della vita sociale a causa della sua disabilità. E perché in futuro, quando i compagni si troveranno il pomeriggio a vedere la serie televisiva del momento, non inviteranno quel loro compagno che “tanto i film non li può vedere”.

Questa è l’importanza del processo di inclusione a scuola: arriva anche fuori. In positivo o negativo, dipende dalle scelte fatte.

Come si fa quindi? Si mettono in atto strumenti e strategie (descrizioni audio, riassunti) perché anche lui partecipi.

Disabilità vs compromissione: questo è il limite

Qui entra in gioco una distinzione fondamentale: disabilità e compromissione non sono la stessa cosa.
Secondo l’OMS, la disabilità non dipende solo dalle condizioni personali, ma dallo scontro con barriere — fisiche, sociali, culturali — che ostacolano la piena partecipazione alla vita su base di uguaglianza con gli altri.
La società ha il dovere di lavorare per eliminare queste barriere e ridurre le conseguenze della disabilità.

Ma la compromissione — quella che un tempo si chiamava handicapnon può essere eliminata.
Per quanto si possa rendere un ambiente inclusivo, Mario resterà cieco, e un film non potrà mai “vederlo” come gli altri. È un limite oggettivo, difficile da accettare, ma è da lì che comincia il vero lavoro dell’inclusione: trovare strade alternative per vivere l’esperienza in modo diverso, ma significativo.

Negare o evitare le situazioni in cui quel limite diventa visibile non è inclusione: è pietismo.
E il pietismo, anche se nasce da buone intenzioni, finisce sempre per escludere di nuovo.