Studente escluso dalla gita: davvero succede ancora?

Ma quanto era bello andare in gita con la scuola? E quanto era grande la delusione quando saltava per qualsiasi motivo o, peggio ancora, eravamo noi a dover rinunciare perché malati o qualsiasi altro impedimento? Figuriamoci quindi cosa significa essere l’unico studente escluso dalla gita per decisione altrui, della scuola a essere onesti, perché si ha una disabilità.

E’ accaduto a Torino pochi giorni fa, in questo maggio 2024, a un ragazzo 17enne non vedente dalla nascita. Motivo? Nessuno dei due insegnanti di sostegno che lo seguono a scuola poteva accompagnarlo nella gita di un giorno a Finale Ligure. Già così ci si chiede come sia stato possibile: nessuno dei due poteva spostare l’impegno? Non si poteva spostare il giorno della gita? O non erano disponibili per principio? Ricordiamo infatti che nessun insegnante è obbligato a partecipare alle uscite didattiche, quindi l’obbligo non c’era.

In realtà non è necessario che sia il docente di sostegno ad accompagnare l’alunno disabile (l’incipit di questo articolo non è formalmente corretto a voler essere precisi). Come dovrebbe essere risaputo, il docente di sostegno non è assegnato ad personam ma alla classe, perché tutti gli studenti (tutti, compresi quelli con disabilità) sono alunni della classe e quindi dell’intero team docenti. Quindi l’assenza del docente di sostegno non faceva alcuna differenza; o meglio, non avrebbe dovuto fare alcuna differenza.

Studente escluso dalla gita: no all’educatore, sì ai genitori

La scuola però non ha fornito una alternativa, sebbene fosse suo (della scuola) dovere offrire pari opportunità agli alunni e suo (dello studente) diritto partecipare alla vita scolastica della classe. Lo ricorda anche il Ministero dell’Istruzione (nota MIUR 645/2002) definendo le gite “un’opportunità fondamentale per la promozione dello sviluppo relazionale e formativo di ciascun alunno e per l’attuazione del processo di integrazione scolastica dello studente diversamente abile, nel pieno esercizio del diritto allo studio”.

I genitori quindi propongono che sia l’educatrice che segue il ragazzo fra casa e scuola ad accompagnarlo, ma questa soluzione non viene accettata perché l’educatrice non fa parte del personale scolastico.

Però – dice la scuola – mamma o papà possono accompagnarlo. Ma come? L’educatrice no, ma i genitori sì? Non risultano facciano parte del personale scolastico. A questo punto è però la madre a non accettare, perché nessun adolescente vuole i genitori quando è in gita con i compagni di scuola.

 E qui la discussione si ferma. Il ragazzo resta a casa.

Un finale incomprensibile

Un epilogo ingiusto e assurdo. Al di là della burocrazia, delle responsabilità, dell’accessibilità e con buona pace dell’inclusione, come possono gli adulti di riferimento di questa storia non sentirsi manchevoli di fronte a un ragazzo escluso da una gita? Non conta neppure perché sia accaduto, non ci sono giustificazioni: non deve accadere.

Per questo serve una diversa cultura del concetto di inclusione. Non bisogna valutare se un alunno disabile può partecipare a una gita. Dovremmo, a monte, avere una offerta di uscite didattiche già accessibili e una organizzazione definita per i diversi tipi di assistenza. A questo punto si gestirebbero gli imprevisti, che ci possono sempre essere, ricordando una semplice regola base che, come adulti, siamo tanto bravi a spiegare ai bambini ma poi sembriamo dimenticare: quando si è in un gruppo, si fanno le cose senza escludere nessuno.

Elisa Bortolini

Giornalista professionista dal 2012 e scrittrice. Ho fondato il marchio editoriale Storiecocciute nel 2021, cominciando a raccogliere biografie di persone note e comuni con disabilità che avevano un elemento in comune: sono riusciti a superare le basse aspettative della società realizzando quello che gli altri ritenevano fosse impossibile.

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