Elena Mukhina che rimase paraplegica inseguendo le Olimpiadi

Elena Mukhina ha 8 anni e vive con la nonna Anna in Russia. Il papà se ne è andato da casa quando lei aveva 3 anni, e la mamma è mancata quando ne aveva solo 5. Così, anocra bambini, si ritrova orfana.

La sua vita è piena grazie allo sport. Comincia a fare pattinaggio sul ghiaccio ma poi scopre ginnastica artistica, la sua passione. Elena è un talento naturale e in poco tempo viene notata dai più grandi allenatori della nazione. A solo 12 anni entra nella società Dinamo di Mosca, per poi passare al CSKA, la polisportiva russa. Comincia una vita in cui esiste solo la palestra; non c’è spazio per nient’altro oltre agli allenamenti intensi. Nemmeno per il riposo.

L’infortunio che non ferma gli allenamenti

È il 1975, Elena ha 15 anni e ha un infortunio. Durante un esercizio atterra male, cade e si fa male alla schiena. Le radiografie individuano una piccolissima incrinatura alle vertebre. La convalescenza dovrebbe essere lunga, così consigliano i medici; in realtà i suoi allenamenti non si fermano. Ogni giorno, l’allenatore le toglie il collare e la porta in palestra.

L”allenatore della squadra maschile Michail Klimenko la prende sotto la sua ala; ancora in pochi comprendono il valore di Elena, ma Klimenko sa che è destinata a fare cose straordinarie.

L’impegno costante dà i risultati sperati ed Elena comincia a vincere gara su gara, titolo su titolo. Nel 1977 è regina ai campionati europei: 4 ori, 2 argenti e 1 bronzo. L’anno dopo domina i mondiali, battendo anche Nadia Comanec: medaglia d’oro nella competizione singola, in quella a squadre, e nel corpo libero; medaglia d’argento alle parallele e in trave. È sul tetto del mondo.

L’obiettivo ora sono le olimpiadi; l’edizione del 1980 si svolgerà proprio nella sua Mosca.

Ma Elena ha un altro infortunio sempre in allenamento. Questa volta sì rompe la caviglia, viene operata ed è costretta a saltare i mondiali del 1979. I medici le consigliano riposo assoluto, gli allenamenti dovranno aspettare.

Elena è completamente d’accordo. Anzi vorrebbe fermarsi, rimandare le competizioni a lung scadenza. In fondo ha soltanto 20 anni, può puntare all’edizione successiva delle Olimpiadi. Il suo allenatore però non vuole sentirne parlare; è la ginnasta più forte al mondo, può ambire alla medaglia d’oro. La riporta in palestra. Elena ricomincia con gli allenamenti 8 ore al giorno. È stravolta, tesa; non sorride mai. Spesso si ritrova a pensare che, se si infortunasse di nuovo, tutto questa pressione finirebbe.

Elena Mukhina e le Olimpiadi mai raggiute

È il 4 luglio 1980. Mancano 15 giorni all’inizio delle Olimpiadi. Gli atleti sono ancora tutti in patria, a proseguire con gli allenamenti. Anche Elena si sta allenando; sta cercando di mettere a punto  il salto Thomas, un esercizio che prende il nome dall’atleta che lo presentato per la prima volta si mondiali del 1978. Un salto a 560 gradi, un giro mortale e mezzo. Per eseguirlo serve una grande potenza nelle gambe per poter avere l’elevazione necessaria; non il massimo per una ragazza reduce da una frattura alla caviglia.

Elena, quel giorno di luglio, non lo può sapere, ma di lì a pochi anni, questo elemento verrà proibito negli esercizi femminili. Verrà lasciato solo agli atleti uomini, che hanno una potenza maggiore nei muscoli delle gambe.

Bisogna essere in forma perfetta per riuscire a eseguirlo bene. Elena, con una caviglia non perfettamente guarita, la forma perfetta non l’ha. Eppure ci prova: corre sulla pedana, prende lo slancio, salta. Ma non abbastanza in alto. Non riesce a completare la rotazione, e cade rovinosamente battendo il mento sulla pedana.

Resta a terra intontita, dolorante. Cerca di gridare ma non ce la fa, cerca di muoversi ma non riesce. Viene soccorsa e portata all’ospedale militare di Minsk, il più vicino alla palestra. Ma qui non ci sono strutture adatte a curarla. Un elicottero la porta all’ospedale di Mosca, e dopo tre giorni dall’incidente viene operata. I medici le salvano la vita, ma nulla è più come prima. La caduta le ha procurato la frattura delle ossa del collo, la diagnosi è tetraplegia. Quando si risveglia, Elena Mukhina è paralizzata dal collo in giù.

Non ci sono più gare né allenamenti, non ci sono più olimpiadi per Elena. Non c’è neppure il riconoscimento di ciò che è accaduto.

Quel segreto mantenuto per due anni

La federazione di ginnastica russa mente. Mentre ospita sul proprio territorio le olimpiadi in cui Elena Mukhina avrebbe dovuto trionfare, racconta di un lieve infortunio da cui la ginnasta si riprenderà col tempo. Non mostra mai Elena, non spiega mai l’accaduto. Solo un allenatore si fa scappare che è su una sedia a rotelle.

Mentono tutti, per due anni. Poi il presidente in carica del Cio Juan Antonio Samaranch pretende di vederla. Vuole consegnarle una medaglia d’argento al valore olimpico, e rifiuta di farlo per interposta persona. La federazione russa non può nasconderla.

Il presidente e alcuni giornalisti incontrano Elena scoprendo la verità: l’ex atleta è su una sedia a rotelle e non c’è possibilità di recupero fisico.

La notizia fa il giro del mondo e Elena ha finalmente il riconoscimento che le è dovuto. Intanto riprende a sua vita: si laurea all’università, scrive articoli sullo sport, segue la ginnastica.
Accanto a lei c’è ancora la nonna Anna, e una sua compagna di squadra per assisterla. Restano con lei fino alla fine. Elena muore il 22 dicembre 2006 a 46 anni, dopo 26 anni di paraplegia, a causa di un arresto cardiaco dovuto alle sue precarie condizioni di salute.

Elisa Bortolini

Giornalista professionista dal 2012 e scrittrice. Ho fondato il marchio editoriale Storiecocciute nel 2021, cominciando a raccogliere biografie di persone note e comuni con disabilità che avevano un elemento in comune: sono riusciti a superare le basse aspettative della società realizzando quello che gli altri ritenevano fosse impossibile.

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