Probabilmente il nome di Noland Arbaugh dice poco a molte persone, ma le cose cambiano se si aggiunge che è il primo paziente cui è stato impianto un chip della Neuralink – la società di Elon Musk – nel cervello. Uno dei grandi successi della ricerca biomedica, capace di rivoluzionare in meglio la vita delle persone che hanno gravi disabilità, aumentando il livello di autonomia e quindi la qualità della vita. Un traguardo straordinario, indubbiamente, che però non può prescindere da un profondo cammino di inclusione sociale.
La vicenda di Noland Arbaugh
Noland Arbaugh oggi ha 30 anni e nel 2016 (curiosamente, lo stesso anno di fondazione della Neuralink) ha riportato una lesione del midollo spinale dopo un tuffo in un lago che ha avuto gravi conseguenze: il ragazzo è rimasto tetraplegico.
E’ diventato famoso nel gennaio 2024, dopo aver ricevuto l’impianto del microchip che gli permette – detto in estrema sintesi – di utilizzare un computer solo con il pensiero. Può ascoltare un audiolibro, vedere un film o giocare con un videogioco in completa autonomia, mentre prima doveva usare un lungo pennino che teneva in bocca ma, oltre a essere scomodo, richiedeva l’intervento di terze persone per essere.
Dice infatti lo stesso Noland: “Mi ha reso più indipendente e questo non aiuta solo me, ma anche tutti quelli che mi circondano. Mi fa sentire meno indifeso e meno un peso. Oltre alla completa guarigione, credo che la maggior parte dei tetraplegici desideri l’indipendenza”.
L’indipendenza è un processo di inclusione
Come già detto, sono risultati straordinari e non ci si può che augurare che i progressi della Medicina e della Biomeccanica siano sempre più rapidi e più evidenti, permettendo alle persone con disabilità o malattie croniche di avere maggiore autonomia e minori complicazioni mediche. L’obiettivo finale è l’autodeterminazione e una vita in autonomia, ma niente di questo però può avvenire se non è affiancato da un adeguato processo di inclusione.
Nel mio passato da giornalista ho scritto spesso di sanità (per esempio sul giornale online sanitadomani.com) e ho visto da vicino i progressi della medicina, ma anche – va detto per correttezza – quanto è lunga la strada che ancora ci separa dall’avere cure efficaci per malattie genetiche o degenerative o per condizioni di paralisi. Certo rispetto al passato ci sono molti più trattamenti che riescono a gestire la sintomatologia di numerose patologie, ma si è destanti da quella che può essere chiamata “guarigione”.
Questo non significa in alcun modo che siano risultati poco utili, anzi: è findamentale l’impegno a prendersi cura di una persona anche quando non è possibile “curare la malattia”.
La medicina cura la patologia, l’inclusione forma la persona
Per questo per chi vive la disabilità la differenza reale la fa una società inclusiva. La storia di Noland racconta bene la situazione: lui ha una maggiore autonomia, più fiducia nel futuro e nuove prospettive, e tutto questo è ciò che realmente fa la differenza nella vita di ogni individuo. Ma al momento di rapportarsi con il mondo esterno, Noland sarà sempre una persona disabile. E’ giusto che lui non si senta un peso per i suoi familiari, come non dovrebbe sentirsi nessuno: nemmeno i milioni di persone che non hanno accesso a un microchip della Neuralink oggi e non lo avranno per diversi anni (decenni più probabilmente).
Questo accade solo se riusciamo a creare una società pronta ad accogliere la disabilità e la diversitò in generale e a rendere più semplice l’accesso a luoghi, opportunità, partecipazione.
La Scienza Medica continuerà a fare progressi nel curare le patologie, ma è l’inclusione che permette a una persona di sentirsi parte della società.
Se no, per quanto la medicina possa progredire, le barriere mentali e fisiche continueranno a esistere.

Elisa Bortolini
Giornalista professionista dal 2012 e scrittrice. Ho fondato il marchio editoriale Storiecocciute nel 2021, cominciando a raccogliere biografie di persone note e comuni con disabilità che avevano un elemento in comune: sono riusciti a superare le basse aspettative della società realizzando quello che gli altri ritenevano fosse impossibile.

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