Centri estivi: l’estate troppo vuota dei ragazzi disabili

Quanto è difficile accedere ai centri estivi quando si ha una diagnosi di disabilità? Mentre bambini e ragazzi scelgono come passare l’estate, chi è disabile trova fin troppe porte chiuse, luoghi non accessibili, personale non preparato C’è chi si è sentito chiedere 100 euro al giorno (al giorno…) per avere un tutor e solo per le ore del mattino.

Un problema diffuso e comune, che tocca età ed esperienze diverse. Ne abbiamo raccolte alcune. anche voi vi riconoscete in queste situazioni?

I centri estivi e il contributo delle famiglie

Gioia ha 10 anni e ha finito la scuola. Non vede l’ora di andare al centro estivo con i suoi compagni. La sua amica del cuore si è già iscritta all’oratorio, suo cugino al campus organizzato dalla piscina. Ma per lei le cose sono più complicate; l’estate è vuota per i ragazzi disabili.

Gioia è autistica, e ha bisogno di una figura assistenziale durante la giornata. A scuola ha l’insegnate di sostegno e l’educatore, hanno fatto un ottimo lavoro e ora Gioia ama stare in compagnia dei coetanei. Ma la sua condizione prevede una assistenza continua. 

L’oratorio, il cui lavoro si basa sui volontari, non può fornirla. Nemmeno i centri privati prevedono una assistenza per ragazzi con disabilità. Può, eventualmente, essere economicamente a carico della famiglia, ma il rischio è che poi non tutte le attività siano comunque accessibili. Perché, semplicemente, tale situazione non è contemplata.

La mamma di Gioia si rivolge al Comune, che offre una possibilità: un educatore per 4 ore al giorno per 3 settimane. Gioia così potrà frequentare, ma solo al mattino, pasto escluso. E solo per un periodo. Il resto dell’estate resterà semplicemente a casa, con qualche familiare, mentre mamma e papà lavorano.

Le vacanze dopo la maturità

Filippo è arrivato a un grande traguardo: sta preparando l’esame di maturità. Poi, si apre l’estate. Una delle estati più belle: quelle in cui si è grandi ma non adulti, liberi dallo studio e senza le ferie scandite dal lavoro. Quelle fatte di viaggi al mare, serate al pub con gli amici e giornate in piscina.

Ma per Filippo, anche le uscite in città sono un problema. Ha la Sma, si muove in carrozzina ed ha una autonomia molto limitata. Ha bisogno di un assistente per studiare, vestirsi o mangiare. Ma soprattutto, ha bisogno di assistenza per avere una vita sociale.

Quando era piccolo, tramite l’educatore mandato dal Comune in estate poteva frequentare l’oratorio. Anni bellissimi, durati fino alla seconda media. Poi, più nulla.

Trovare una figura di riferimento adatta è difficilissimo. Il personale delle cooperative ha troppi limiti imposti dai regolamenti: non è disponibile nei week end, non può guidare l’auto di famiglia, talvolta non si occupa delle incombenze fisiche, come accompagnare Filippo in bagno.

Per questi compiti, vengono inviate le Asa, figure socio assistenziali paragonabili alle badanti. Ma non è ciò di cui necessità Filippo. Gli serve una persona con una formazione di base nella gestione della disabilità, in grado di aiutarlo a spostarsi e a preparasi, ma che sia disponibile a modellare i compiti sulle sue necessità specifiche. E che comprenda le esigenze di un ragazzo di 19 anni.

Intanto Filippo studia, e pensa all’università. L’estate resta una incognita.

Ragazzi disabili: la mancanza di proposte inclusive

I centri estivi rappresentano per i genitori di bambini o ragazzi disabili una vera e propria difficoltà. Numerosi sono ormai gli episodi di bambini disabili non accettati ai centri estivi, o di richieste di compartecipazione alla spesa più elevate per la loro ammissione.

Le principali criticità sono, appunto, il rifiuto di accogliere nelle strutture per ragioni connesse alla disabilità, l’assenza di educatori specializzati per permettere la reale inclusione dei ragazzi con disabilità e le richieste di compartecipazione alle spese più elevate rispetto agli altri. 

Ciò non vuol dire che sia corretto a livello legale.

Sono comportamenti illegittimi e rappresentano una condotta discriminatoria, in violazione della legge 67/2006 e della Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità”. 

Ad ogni modo, in nessun caso, si deve riversare in un ulteriore onere a carico della famiglia: gli eventuali costi extra, infatti, devono ricadere sui Comuni e non sulle famiglie.


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