“Non possiamo gestirla”: bimba disabile a casa dall’asilo

Maestre, insegnante di sostegno e preside, tutti insieme di fronte ai genitori per dare la notizia: alla scuola dell’infanzia quella bimba disabile non riescono più a gestirla, quindi deve stare a casa.

Viene proposta una soluzione alternativa: una scuola a domicilio, con le maestre che vanno a casa pr un’ora e mezzo al mattina per fare attività. E il rapporto con i compagni? La scuola ha pensato anche a quello: ogni pomeriggio la bambina può andare a scuola un’ora, in presenza della mamma però..

Insomma la scuola non è preparata a gestire la disabilità della bambina (in particolare le crisi epilettiche). Quindi meglio che stia a casa in un ambiente protetto. Probabilmente ci sarà stato detto che è “per la sua sicurezza” – espressione che non manca mai quando si vuole chiudere una discussione riguardante l’accessibilità e l’inclusione.

Per alcuni potrebbe anche sembrare una soluzione “logica”, quasi “corretta”. Chi non conosce le normative dell’inclusione scolastica può anche in buona fede ritenere che ci ssia del senso. In fondo un insegnante di sostegno non sia in grado di intervenire in ogni caso di emergenza e inoltre che certe patologie non siano compatibili con l’ambiente scolastico.

Vere entrambe le cose, a dirla tutta. Infatti nessuna di queste responsabilità deve ricadere sugli insegnanti: non devono improvvisare di fronte a una emergenza e non devono avere l’onere di valutare se un bambino può o meno frequentare la scuola.

Il sistema prevede un diverso iter che in questo caso non sembra essere stato rispettato.

Il GLO, il PEI, le riunioni… chi decide?

Quando un bambino con una certificazione di disabilità (legge 104/92) va a scuola scattano una serie di meccanismi per mettere in atto quel processo che viene chiamato “inclusione scolastica”. Riassumiamoli a grandi linee: tre volte all’anno si riunisce il GLO, che raggruppa docenti, genitori e altri professionisti. Qui si discute per creare il PEI, il documento personalizzato che contiene tutto il percorso scolastico del bambino. E’ in questa sede che si valutano le esigenze dell’alunno, comprese quelle fisiche e mediche se ci sono, e si individuano le figure di assistenza necessarie.

In sostanza, se un bambino ha bisogno della presenza di una infermiera, bisognerà chiedere questa figura professionale. Se invece ha una patologia gestibile dal personale scolastico dopo specifica formazione, il dirigente dovrà individuare le persone preposte e assicurarsi che ci sia sempre qualcuno presente per intervenire.

Sempre in sede di GLO si può arrivare a decidere (in casi rari ed eccezionali) che il bambino non può frequentare l’intero orario scolastico o serve attivare la scuola domiciliare perché è impossibilitato a recarsi in classe. Ma è una decisione che parte dal profilo di funzionamento (documento redatto da una equipe multidisciplinare) e certo non può essere presa – potremmo forse dire imposta? – in modo unilaterale dalla scuola.

L’iter corretto da seguire

A prescindere dalle condizioni della bimba disabile, che possono anche essere gravi e impegnative, quello che è avvenuto non è il modo corretto per gestire la situazione. Anzi, si potrebbe quasi usare il termine “illecito”. Sebbene si siano proposte strade alternative per  assicurare il diritto allo studio (che, ricordiamolo, vale anche per la scuola di infanzia sebbene non rientri nella scuola dell’obbligo) queste non nascono da un percorso condiviso con la famiglia e altri professionisti coinvolti.

La domanda è: come è possibile che sia accaduto? Probabilmente perché la famiglia non era pienamente a conoscenza dei meccanismi normativi esistenti.

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Come assicurare la scuola a una bimba disabile

Questo è uno di quegli episodi che facilmente portano polemica e permettono anche titoli dal click facile. La realtà è che montare una discussione fine a se stessa non serve a nulla. Serve invece capire perché certe cose accadono e come potervi porre rimedio.

Come accennato, una delle difficoltà delle famiglie è quella di non conoscere la normativa legata all’inclusione scolastica. Cosa anche comprensibile: non ci si aspetta di dover studiare la legge, quando si manda a scuola il proprio bambino. Purtroppo questo può valere quando le cose funzionano, ma in caso di intoppi – ed è un discorso che si può fare per qualsiasi ente eroghi un servizio – allora essere preparati può davvero fare la differenza.

Sapere nel dettaglio cosa è il GLO, chi vi partecipa e per quale scopo è indispensabile in casi come quelli descritto. Per prima cosa, i genitori avrebbero dovuto giustamente demandare tali discussioni in quella sede, dove si sarebbe discusso della eventuale necessità di altro personale: magari una Oss, oppure un educatore. Oppure si poteva individuare un collaboratore scolastico da formare affinché possa intervenire in caso di emergenza.

Insomma conoscere l’iter avrebbe aiutato a far attuare i diritti del bambino.

L’importanza di conoscere la normativa

Tutte queste possibilità sono già previste, per esempio dalla legge 517/77 sull’Ordinamento scolastico:

“Devono inoltre essere assicurati la necessaria integrazione specialistica, il servizio socio-psicopedagogico e forme particolari di sostegno secondo le rispettive competenze dello Stato e degli enti locali preposti, nei limiti delle relative disponibilità di bilancio e sulla base del programma predisposto dal consiglio scolastico distrettuale”.

A questi principi la scuola avrebbe dovuto rifarsi, informando delle difficoltà non tanto i genitori quanto gli uffici scolastici competenti e gli enti pubblici. Avrebbe dovuto cercare di ottenere le risorse e le figure professionali necessarie per assicurare alla bimba disabile la partecipazione alla vita scolastica nel modo migliore possibile per lei.

Invece, tristemente, sembra che la bimba non sia riuscita nemmeno a festeggiare la fine dell’asilo insieme ai suoi compagni. Un brutto epilogo alla fine del primo ciclo scolastico che ha frequentato. Resta la speranza che la situazione, per il suo futuro, migliori.

Elisa Bortolini

Giornalista professionista dal 2012 e scrittrice. Ho fondato il marchio editoriale Storiecocciute nel 2021, cominciando a raccogliere biografie di persone note e comuni con disabilità che avevano un elemento in comune: sono riusciti a superare le basse aspettative della società realizzando quello che gli altri ritenevano fosse impossibile.

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