Sospeso per 21 giorni. Un provvedimento importante, raramente utilizzato persino alle scuole superiori dove si ha a che fare con adolescenti in fase di ribellione, ancora più raro verso un bimbo di 6 anni iperattivo. Eppure è accaduto in una scuola del Lazio. I genitori sono ricordi al TAR che ha imposto il reintegro: ovvero: per poter andare a scuola con i suoi compagni è servito un documento di un giudice. In seguito il Tribunale ha stabilito anche un risarcimento alla famiglia di 2.000 euro.
Quale sarebbe la sua “colpa”? Il Dirigente – si legge dagli articoli del web- lo ha definito “ingestibile”. Ha anche dichiarato: “semplicemente la famiglia ritiene la scuola un babysitteraggio e se ne infischia del fatto che altri 21 bambini non stanno imparando a leggere e scrivere a causa della situazione della classe“.
Insomma sarebbe responsabilità dei genitori di un alunno se gli altri 21 bambini non imparano. Non certo della scuola e di chi ci lavora, evidentemente tutti ostaggio di un bambino di 6 anni con diagnosi di disabilità. Se disturba così tanto, la soluzione sembra sia lasciarlo a casa.
Soluzione che però lascia più che perplessi. Esiste il dovere allo studio, oltre che il diritto naturalmente, e dove dovrebbe stare un bambino di 6 anni se non a scuola? Non sono stati quei genitori a decidere che i bambini vadano a scuola 5 giorni a settimana 8 ore al giorno. La nostra società ha così decretato e più di una legge sottolinea che questo deve avvenire per tutti i bambini. Proprio tutti.
Bimbo iperattivo: sentenza del TAR
La sentenza del Tar, oltre al reintegro del bimbo iperattivo, dispone anche un risarcimento di 2.000 euro. Il Dirigente di che non è pentito, farebbe di nuovo tutto perché “ora almeno c’è la copertura a 40 ore”. Insomma si è dovuto giocare duro per poter avere quello che doveva essere un diritto dal primo giorno. La scuola non è riuscita a seguire il percorso previsto, a collaborare con gli uffici e con gli altri enti, a far funzionare il percorso di inclusione quindi ha agito in questo modo.
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Una sorta di legge del più forte, dove si agisce duramente per provocare una reazione. Nel percorso magari ci rimette il più debole però si ottiene l’obiettivo. Si può condividere o meno questa visione, ma il punto è un altro: è un insegnamento educativo da dare a scuola?
Sospensione: i motivi?
Quindi il motivo del provvedimento sembra fosse ottenere il sostegno necessario. Però è stata anche accusata la famiglia di non essere presente. Si è forse rifiutata di far inserire nel PEI la richiesta di ore e figure necessarie? Non sappiamo, ma sembra difficile che i genitori si siano opposti a una tale decisione. Se la sospensione serviva a “forzare la mano”, coinvolgere i genitori avrebbe facilitato il percorso ed evitato il risarcimento.
Insomma il dubbio resta: non è chiaro quale fosse l’intento educativo di una sospensione di 3 settimane in prima elementare. Non sono chiari i vantaggi e i benefici una volta che il bambino sarebbe rientrato a scuola. E infine non è chiaro cosa il bambino avrebbe dovuto apprendere da questa situazione e come l’avrebbe dovuto aiutarlo a “comportarsi meglio” (qualsiasi cosa questa frase voglia dire nel concreto).
Anzi c’è da chiedersi ora come stia il bambino in classe. Quali strumenti siano stati messi in atto per evitare che sia etichettato come quello che disturba, che si comporta male, che impedisce a tutti di imparare. Un lavoro impegnativo da fare per i docenti, quelli che sono chiamati a rapportarsi con alunni e genitori ogni giorno. Chissà quanto ( e se) la sospensione li avrà aiutati nella gestione quotidiana di questa situazione.
Chissà .
Elisa Bortolini
Giornalista professionista dal 2012 e scrittrice. Ho fondato il marchio editoriale Storiecocciute nel 2021, cominciando a raccogliere biografie di persone note e comuni con disabilità che avevano un elemento in comune: sono riusciti a superare le basse aspettative della società realizzando quello che gli altri ritenevano fosse impossibile.