Il 40% delle scuole è accessibile per gli studenti con disabilità motoria.
Sembra poco? Allora lascerà ancora più stupiti sapere che solo il 17% è accessibile per chi è sordo e solo l’1,2% (UNO per cento, ovvero UN edificio ogni cento ) per gli alunni con cecità.
La fonte dei dati è più che certa: questi numeri arrivano dal report dell’Istat sull’inclusione scolastica per l’anno scolastico 2022/2023.
Superare il concetto delle barriere architettoniche
Quando si parla di disabilità ci si concentra sule barriere architettoniche: scivoli, ascensori, larghezza delle porte. Tutti elementi che devono categoricamente essere presenti in un edificio, tanto più se è pubblico, ma in tutta onestà dovremmo già aver superato questo punto. L’espressione “barriere architettoniche” è legata alla figura di Bruno Tescari, noto attivista romano fondatore della Lega Arcobaleno alla fine degli anni ’70; in questi 40 anni avremmo già dovuto risolvere la stragrande maggioranza delle problematiche tecniche degli edifici, superando non solo le barriere stesse ma anche la concezione per cui installare uno scivolo sia sinonimo di una società inclusiva.
Invece non solo il 60% dei plessi scolastici ancora non è a norma di legge ( DPR 503/96: “2. Negli edifici pubblici deve essere garantito un livello di accessibilità degli spazi interni tale da consentire la fruizione dell’edificio sia al pubblico che al personale in servizio”) ma la quasi totalità non è minimamente preparata ad affrontare disabilità sensoriali. Come dicono i dati, oltre il 90% dei plessi scolastici non risulta accessibile per studenti sordi o ciechi.
Questo ovviamente non significa che i ragazzi con queste tipologia di disabilità non vengano accolti, anche perché sarebbe contrario alla legge. Non significa neppure che il loro percorso scolastico non possa essere positivo, perché per fortuna l’impegno e la collaborazione fra i singoli individui spesso riesce a costruire ponti là dove la legge e la burocrazia lasciano vuoti.
Quando si lotta per il menù della mensa
Sfatiamo un mito in troppo diffuso: la situazione italiana, in tema di inclusione, non è certo la più drammatica al mondo. Anzi a dirla tutta la scuola italiana è un modello: ci sono molti altri Paesi (compresi quelli che spesso vengono presi a modello come espressione massima di civiltà) i cui esistono tutt’oggi scuole speciali e classi differenziate.
Un esempio è la storia di Haben Girma, avvocato per i diritti civili statunitense che ha cominciato a lottare per i propri diritti ancora 19enne, discutendo con la mensa del college che frequentava. Il menù era in formato cartaceo, ma Haben è cieca e non può leggerlo; gli inservienti illustravano i piatti, ma Haben è sorda e non può sentirli. Ha quindi preteso e ottenuto che il menù le venisse inviato in anticipo via mail, così da stamparlo in braille e poter chiedere ciò che voleva.
Haben Girma ha poi proseguito gli studi in Legge e nel 2013, a 25anni, è diventata la prima persona sordo cieca a laurearsi alla facoltà di Legge di Harvard. Questi sono i risultati che si possono ottenere con un percorso scolastico realmente accessibile.
Accessibile NON E’ inclusivo
Fatta l’analisi di una situazione obiettivamente poco soddisfacente., l’unica cosa da fare è cercare di migliorare per il futuro. E il miglioramento passa sempre da un cambiamento, in questo caso di mentalità; bisogna comprendere che accessibile non è sinonimo di inclusivo. Non a caso è il primo punto del nostro decalogo.
E’ un cambio culturale ormai indifferibile, l’unico meccanismo che può permettere di realizzare una vera trasformazione. L’atteggiamento per cui un edificio debba essere ampiamente fruibile da chiunque è il pensiero che porta a trovare soluzioni differenti rispetto al passato. Soluzioni magari cui oggi non abbiamo ancora pensato ma che un domani potrebbero essere la quotidianità. Perché l’obiettivo non è aumentare la percentuale degli edifici pubblici a norma ma sapere come creare ambienti inclusivi dovunque ci si trovi.