Lorenzo e il lieto fine in una nuova scuola

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Lorenzo ha 9 anni e si trova a dover prendere una decisione difficile: continuare a restare nella sua scuola oppure cambiare istituto. 

Ed è solo in quinta elementare.

Lorenzo ama andare a scuola e gli piacciono i compagni, ma la situazione è spesso insostenibile per un bambino di quell’età. Lorenzo fa fatica a fare le cose come tutti gli altri; ha problemi di mobilità e un lieve ritardo cognitivo. Ha bisogno di aiuto, come qualsiasi altro bambino, solo IN MANIERA PIù SPECIFICA. 

Purtroppo, le maestre non riescono a integrare le sue difficoltà nella quotidianità.

Lorenzo fa fatica a camminare, non ha un buon equilibrio, ma gli basta un po’ di sostegno. Invece LA SCUOLA GLI IMPONE LA SEDIA A ROTELLE, anche quando potrebbe farne a meno; per “questioni di sicurezza”

Una limitazione e una mancanza di fiducia nelle sue capacità.

Quando c’è Lorenzo in classe, le maestre non portano i bambini a giocare in giardino. Troppo lontano, dicono, troppo complicato. Ci sono da fare le scale, passare per una stradina, entrare nel campo. Non se la sentono.

Però qualche volta, la classe ci va lo stesso, in giardino. Ma quando Lorenzo è a casa

Così agli altri bambini arriva indirettamente un messaggio distorto: QUANDO NON C’E’ LORENZO, si possono fare cose più divertenti.

La mamma di Lorenzo cerca il dialogo con la scuola. Si rende disponibile a collaborare con le maestre, trovare soluzioni condivise, essere partecipe quando serve. Ma nonostante la disponibilità di alcune persone, la scuola si chiude dietro una rigida barriera fatta di eccessiva precauzione ed esagerato timore.

Arriva la fine dell’anno, e la classe organizza una giornata di giochi all’aperto fuori dell’orario scolastico, insieme alle famiglie. Lorenzo con la sorella e i genitori partecipa con gioia. I genitori organizzano la merenda, i bambini giocano fra loro. Lorenzo prende il pallone, si avvicina ai compagni, ma loro dopo poco si allontanano e lui resta solo.

Poco dopo si avvicina di nuovo. I compagni lo coinvolgono nel loro giocano, ma Lorenzo non riesce a tenere il loro ritmo. 

Di nuovo, dopo poco tempo, i bambini si allontanano. Superano un cancelletto e vanno in un punto in cui Lorenzo, con le sue difficoltà di movimento, non può arrivare.

LORENZO RESTA A GIOCARE DA SOLO. nessuno degli altri genitori dice nulla. Nessuna delle insegnanti presenti dice nulla.

Ma la mamma vede tutto, e prende lei la decisione: è arrivato il momento di cambiare scuola.

Una scelta dura, ma che alla fine si rivela vincente. Nuova scuola, ambiente, persino comune. E soprattutto, un gruppo inclusivo. 

Lorenzo ora va a scuola senza carrozzina. Lo aiutano i compagni, a turno a due per volta. Ha un banco adatto alle sue esigenze, mezza luna, con una sedia normale, come quella di tutti gli altri bambini. 

Nessuna barriera architettonica nell’edificio, nessuna barriera di principio da parte dell’istituto. Ma un gruppo di maestre accoglienti, capaci d far integrare Lorenzo con semplicità nel gruppo classe; ognuno con le proprie caratteristiche, le proprie doti e i propri tempi.

Lorenzo ora va a scuola sereno. Le sue difficoltà non sono svanite. E cambiato l’ambiente, e lui è fiorito.

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Sul sito del Miur (Ministero dell’istruzione, dell’Università e della ricerca), nella sezione dedicata alla questione “alunni con disabilità” è scritto:

“la piena inclusione degli alunni con disabilità è un obiettivo che la scuola dell’autonomia persegue attraverso una intensa e articolata progettualità, valorizzando le professionalità interne e le risorse offerte dal territorio”.

La piena inclusione, dunque, non significa semplicemente integrazione, si tratta di un concetto ben più ampio che non mira solo ad integrare le diversità con un processo di “normalizzazione”, ma mira a far sì che la scuola si faccia scuola su misura per tutti, riconoscendo le diversità e valorizzandole, differenziando per ogni studente gli obiettivi e i percorsi formativi.

Per poter cambiare l’atteggiamento culturale sulla disabilità occorre, però, prendere coscienza di cosa essa sia e attivare processi di rispetto e di inclusione. 

Le conoscenze per ciò che concerne disabilità intellettiva e/o comportamentale sono poche e sono proprio queste mancanze a portare alla creazione di stereotipi e pregiudizi per cui la presenza della persona disabile in classe viene avvertita come un fattore di disturbo o, peggio, di un pericolo. 

Ne conseguono discriminazioni dirette o indirette, che si manifestano nell’esclusione della persona disabile da attività scolastiche come gite o laboratori didattici, nell’inaccettabile reclusione del bambino o ragazzo in una classe perché l’insegnante di sostegno è incapace di gestirlo o per evitare che faccia ingresso nell’aula dove si tiene la lezione.